Molti di voi non se ne saranno accorti, ma Volkswagen sta facendo una lotta in Europa per evitare i tagli alle emissioni di CO2. Intanto gustatevi lo spot fatto da greenpeace, poi ne parlerò in maniera più approfondita.
domenica 4 dicembre 2011
venerdì 28 ottobre 2011
È solo una lampadina? Forse no.
Lampadina a risparmio energetico |
Oggi ho voglia di parlare di lampadine,
quelle che illuminano le nostre case d'inverno.
Iniziamo con lo
spiegare immediatamente come funzionano le lampadine ad
incandescenza: c'è un filamento di tungsteno che brucia, o almeno ci
prova, ma non trovando ossigeno nell'ampolla di vetro nella quale è
custodito riesce soltanto a produrre luce, sino a quando non si rompe
l'ampolla o il filamento.
Questo è il semplicissimo meccanismo delle
comuni lampadine (a dire il vero nemmeno più tanto comuni, ma ne
parleremo dopo) che tutti considerano banale. Però forse non tutti
sanno che questo meccanismo permette di convertire l'energia che
arriva alla lampadina in questo modo: 5% in luce, 95% circa in
calore. Bene le nostre lampadine sono delle piccole stufe che hanno
anche il compito di illuminare e non viceversa.
Forse è il caso di cambiare
tecnologia, forse. E così un giorno qualcuno si è svegliato e si è
accorto di questa necessità inventando le lampadine a risparmio
energetico. Da settembre 2012 dovrebbero esser bandite dal commercio
(a causa di una legge europea) le lampadine di cui abbiamo parlato
perché il mondo va verso un consumo energetico classificato e c'è
la possibilità di sfruttare meglio l'energia che arriva nella
lampadina trasformandone in luce non solo il 5%. Come? Ci sono le
lampadine fluorescenti compatte. Come sono fatte queste nuove
lampadine che stanno lentamente, ma non poi troppo, invadendo il
mercato?
Sono lampade a scarica elettrica con
dei gas/polveri all'interno. La scarica non può avvenire
direttamente a contatto con il gas/polvere perché altrimenti
brucerebbe di colpo. Il funzionamento lo trovate anche su wikipedia,
è abbastanza semplice, ma non è questo che ci interessa. Ciò che
ci interessa è capire la direzione che questa “nuova” tecnologia
sta prendendo.
Prima si producevano lampadine ad
altissimo consumo di elettricità, ma non nocive all'uomo. Ora,
invece, si producono lampadine con dei gas/polveri all'interno, quali?
Nella lampadina ci sono polveri
trifosforo (Denominazione generica di fosfori a tre bande
spettrali, nella zona del blu, del verde e del rosso, che, per
eccitazione con radiazioni ultraviolette, danno una luce che si
avvicina a quella bianca;), mercurio e ossigeno.
Non sono un chimico
e forse non ho nemmeno le competenze adatte per trarre delle
conclusioni. C'è anche la possibilità che qualcuna di queste
premesse sia sbagliata, però c'è qualcosa che non quadra nella
composizione di queste lampadine.
I
termometri a mercurio sono stati vietati dalla comunità europea,
perché il mercurio è nocivo e non può essere commercializzato. Il
fosforo è nocivo quanto il mercurio, la dose letale media è
di 50 milligrammi (fonte wikipedia).
In più la riprova del fatto che
sia presente mercurio è data dal fatto che una lampadina non può
essere gettata tra i rifiuti normali, ma deve essere smaltita
attraverso un procedimento particolare e per questo restituita al
venditore.
Dunque abbiamo abbandonato delle lampadine non inquinanti, o comunque
in maniera minore, per introdurre delle lampadine che non possiamo
smaltire ma che consumano un po' meno? Quanto non sono riuscito
nemmeno a capirlo, dati abbastanza certi non ci sono (se qualcuno ha questi dati e vuole fornirmeli sarò felice di pubblicarli).
Le nuove
lampadine sono in commercio, quelle vecchie non più, e non saranno
smaltite in pochi anni dopo la loro rottura perché contengono
materiali che non siamo capaci di riciclare e in più se si rompono
liberano fosforo e mercurio.
Non so che altra geniale invenzione ci si prospetta in questo campo,
ma se si rompe una lampadina in casa io apro la finestra e lascio la stanza e francamente vi consiglio di fare la stessa cosa. altre soluzioni non le abbiamo per difenderci da queste armi che ci stanno vendendo per illuminare le nostre stanze.
Luca Romano
lunedì 17 ottobre 2011
La lotta silenziosa delle fave
Fave secche biologiche |
Questo blog è nato con l'intento
d'esser un blog contro certe forme di globalizzazione. Contro sistemi
culturali che vengono imposti coattivamente e che vengono accettati
senza esser voluti. Ecco quindi che ho parlato dell'ikea, come stile
anonimo imposto alle masse, e l'acqua in bottiglia, un mercato che è
stato costruito per vendere bottiglie di plastica e non per vendere
acqua.
Oggi voglio parlarvi di un'altra cosa,
da un altro punto di vista.
Siamo arrivati al 17 ottobre, e tutti i
luoghi comuni ci portano verso le frasi come “l'estate è finita”,
“fa freddo non ci sono più le mezze stagioni” ecc ecc.
La mia idea di autunno e di ottobre,
invece, coincide con l'arrivo dei legumi. Dell'odore diffuso per la
casa dovuto alla loro lunga cottura, e dal calore, non solo a livello
di temperatura, che ti infondono.
Oggi voglio parlarvi della Vicia Faba,
comunemente detta fava. Da noi in Puglia è un piatto tipico, lo è
però anche in altre parti del mondo con altre forme di cottura e
altri condimenti. Però la fava ha qualcosa in più: non è un piatto
che può esser consumato come un panino, come delle patatine, non è
da fastfood.
La fava, qui da noi, ma anche altrove,
è un piatto slow. È lento perché, fortunatamente, ha un sapore
particolare e non è apprezzato da tutti, ed è proprio la
particolarità che rende le cose uniche. Ed è nel particolare che
risiede l'esser no-global di qualcosa. La fava non è un sapore
adatto a tutti e quindi non è buono per tutti. Chi sceglie di
mangiare le fave, lo sceglie e si siede a tavola, le gusta.
In Puglia, una volta, si
prendeva anche la fava secca contro i dolori di pancia o di stomaco.
Se ne prendeva una e la si metteva sotto la lingua, lasciandola
sciogliere per un bel po' di tempo. Era un rimedio naturale,
consigliato dai nonni, di quelle cose che non si fanno più. E la
cosa magnifica è che se chiedi a chi te ne parla, non ha la minima
idea del perché passi il mal di pancia, è così e basta. È questa
la tradizione, una fiducia dogmatica in ciò che il passato ti
insegna. Noi non ce ne facciamo più niente delle tradizioni, abbiamo
il maalox. Però la fava, come tante altre cose ovviamente, ha
segnato questa terra e l'ha resa particolare. Mangiare le fave, con
le cicorie magari, seduti a tavola con un pezzo di pane e del vino
(per chi lo apprezza) è qualcosa che lotta contro tutte le
multinazionali del cibo e non solo. Lotta contro la velocità e
contro le culture dominanti. Non è detto che sia un bene difendere
le culture locali, però qui da noi la fava è questo, anche. Anche
se non ci pensa nessuno. È una lotta silenziosa. Così come in
silenzio, ascoltando solo i rumori del cucchiaio o della forchetta
nel piatto, vanno mangiate. Buon appetito.
mercoledì 12 ottobre 2011
Perché consumiamo l'acqua in bottiglia?
Ognuno di noi prende una bottiglia in
mano, svita il tappo in plastica e versa il contenuto in un
bicchiere, a volte di vetro, a volte di plastica. Ognuno di noi,
spesso, nemmeno guarda scorrere quella sostanza trasparente dalla
bottiglia al bicchiere. L'acqua è necessaria a tutti gli esseri
viventi e per noi uomini occidentali è ormai ovvio ci sia, magari in
una bottiglia di plastica, magari sul nostro tavolo.
Cosa in realtà ci nasconde quella
bottiglia così comoda? Calcoliamo per approssimazione. A me
immediatamente viene in mente la sua creazione.
Le bottiglie comuni sono fatte in
Polietilene tereftalato, comunemente detto PET. È una resina
termoplastica utilizzata comunemente non solo per le bottiglie ma
anche per altre plastiche ad uso alimentare e non. Consideriamo che
per produrre circa 25 bottiglie da 1,5 litri l'una serve un chilo di
questa plastica ricavata da 2 kg di petrolio e 17.5 litri d'acqua.
Per la fabbricazione di queste 25 bottiglie vengono emesse molte
sostanze non propriamente eco-sostenibili tra le quali 2,5 kg di
anidride carbonica.
I dati sono più o meno questi, in ogni caso possiamo anche prenderli
approssimativamente, considerandoli in eccesso.
Ma se ogni bottiglia è causa di tutto
questo trambusto, solo per la produzione, il suo trasporto quanto
inquinerà?
Consideriamo il trasporto dell'acqua
praticamente solo su autocarri, quindi su gomma, e facendo una
comunissima ricerca sul web ci accorgiamo che un autocarro consuma
circa 25 litri/100 km per trasportare più o meno 15 tonnellate di
bottiglie d'acqua. La produzione media di CO2 è di 25 grammi per
tonnellata/km.
Per evitare di perderci in calcoli
consideriamo che gran parte dell'acqua che viene commercializzata in
Italia proviene dal nord e per esser venduta, qui a Bari, per
esempio, percorre circa 1000km (anche questo dato è approssimativo
in difetto) consideriamo quindi necessari 250 litri di gasolio per
trasportare 15 tonnellate di bottiglie.
Ritornando alla nostra bottiglia, sul
nostro tavolo, così comoda e pratica, adesso possiamo guardarla con
sospetto. Ogni singola bottiglia da 1,5 litri costa, circa 30 forse 40 o 50 centesimi, e possiamo considerare che ognuno di questi centesimi spesi come causa di
emissioni di CO2 (senza considerare il viaggio di ritorno
dell'autocarro vuoto, gli imballaggi del cestelli d'acqua, il
tragitto compiuto per portare le bottiglie vuote dalla fabbrica
all'imbottigliamento, e altri piccoli dettagli che tutti insieme
incidono sicuramente) di consumo di gasolio e di spese di smaltimento
della bottiglia.
Sembra quasi che non ci stiano vendendo
l'acqua, ma la bottiglia. Sembra quasi che quei 50 centesimi
arrotondati per eccesso siano il prezzo che dobbiamo pagare per
produrre un rifiuto.
E sembra veramente incredibile che
aprendo il rubinetto e mettendoci il bicchiere sotto, o una caraffa,
tutto questo inquinamento viene automaticamente ridotto a 0. niente
più trasporto, niente più imbottigliamento, niente più lavorazione
della plastica, niente inquinamento. Sembra veramente incredibile
quanto sia semplice.
*I dati riportati sono presi da internet (dati sui trasporti), da alcune riviste del WWF (dati sulla produzione e sul trasporto) e da altri siti dedicati all'argomento.
venerdì 7 ottobre 2011
Pasolini non ama l'ikea
Tutti
in casa hanno un mobile ikea. Chi non ha una lampada o un tavolino.
Molti ci vanno anche solo per passare il tempo, alcuni magari non ci
sono mai andati. Tutti quelli che ci vanno però dicono che le cose
costano poco e se le possono permettere tutti. Ti offrono un bel
tavolo, una bella sedia, un bell'armadio a pochi euro. Ed è tutto
vero. Della durata nessuno ne parla, perché tanto per quello che hai
speso, alla fine se si rompe ne puoi comprare un altro, magari
diverso e più bello. Bene io non contesto questo, questo non mi
interessa. Forse va bene o forse no, non lo so.
Però un giorno
ho aperto le lettere luterane di Pasolini e ho letto a pagina 46
delle parole che dicevano così:
I primi ricordi della vita sono ricordi visivi. La vita, nel
ricordo, diventa un film muto. Tutti noi abbiano nella mente
un'immagine, che è la prima, o tra le prime, della nostra vita.
Quell'immagine è un segno e, per l'esattezza, un segno linguistico.
Dunque, se è un segno linguistico, comunica o esprime qualcosa. Ti
faccio un esempio, Gennariello, che a te napoletano suonerà esotico.
La prima immagine della mia vita è una tenda bianca, trasparente,
che pende, credo immobile, da una finestra che dà su un vicolo
piuttosto triste e scuro. […] In quella tenda si riassume e prende
corpo tutto lo spirito della casa in cui sono nato. Era una casa
Borghese a Bologna. […] quegli oggetti (la tenda) sono, appunto,
dei segni linguistici […] La loro comunicazione era dunque
essenzialmente pedagogica. Essi mi insegnavano dove ero nato, in che
mondo vivevo e, sopratutto, come dovevo concepire la mia nascita e la
mia vita.*
Quello che
vuole comunicare Pasolini consiste essenzialmente nella natura
pedagogica degli oggetti con i quali conviviamo. Non solo solo
corredo, non sono solo mezzi. Gli oggetti, i mobili, la tenda, sono
il nostro primo insegnamento. Un insegnamento precedente rispetto a
quello verbale. Un insegnamento al quale non possiamo esprimere
assolutamente alcuna opposizione, perché siamo ancora troppo
piccoli.
Molti di noi
sono cresciuti in case povere, alcuni in case borghesi, come quella
di Pasolini magari, oggi i figli appena nati, o che nasceranno,
cresceranno in case con molti mobili ikea. Bene, e che male c'è?
Nessuno forse.
Forse i mobili
ikea essendo buoni per tutte le persone di tutto il mondo sono
anonimi. Hanno nell'anonimato la loro peculiare caratteristica.
Saranno il primo impatto per coloro che nasceranno, saranno la tenda
che ha insegnato a Pasolini i valori borghesi, però non insegneranno
i valori borghesi, criticabili o meno, insegneranno l'anonimato,
l'esser adattabili, poco durevoli e buoni per tutti. Distruggeranno
le differenze e non permetteranno alle persone di strutturarsi in un
contesto unico.
Ecco perché
forse non sempre un tavolino è necessario che sia bello e a basso
prezzo. Ecco perché forse a Pasolini non sarebbe piaciuta l'ikea.
* P.P.Pasolini, lettere luterane, garzanti 2010, pp 46-49
Etichette:
borghesia,
garzanti,
ikea,
lettere luterane,
luca romano,
pasolini,
tavolo,
tenda
benvenuti
benvenuti su chilometro Zero. Questo è il primo post, e quindi lo utilizzo solo per salutarvi e spiegarvi un po' cos'è chilometro Zero.
Il progetto iniziale mi porterà a parlare della terra sulla quale viviamo. Delle insensatezze della globalizzazione. Del nostro modo di vivere. E di tutti i mondi possibili. Tutto qui? No, parlerò anche delle verdure di stagione, di bottiglie d'acqua, di silenzi e di pesci. Parlerò di tutto ciò che può esser a portata di mano.
Forse non ho utilizzato le parole migliori per farvi capire cos'è chilometro Zero, però magari ogni singolo post riuscirà a farvi avvicinare a quello che ho in testa.
Il progetto iniziale mi porterà a parlare della terra sulla quale viviamo. Delle insensatezze della globalizzazione. Del nostro modo di vivere. E di tutti i mondi possibili. Tutto qui? No, parlerò anche delle verdure di stagione, di bottiglie d'acqua, di silenzi e di pesci. Parlerò di tutto ciò che può esser a portata di mano.
Forse non ho utilizzato le parole migliori per farvi capire cos'è chilometro Zero, però magari ogni singolo post riuscirà a farvi avvicinare a quello che ho in testa.
Iscriviti a:
Post (Atom)