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venerdì 28 ottobre 2011

È solo una lampadina? Forse no.


Lampadina a risparmio energetico
Oggi ho voglia di parlare di lampadine, quelle che illuminano le nostre case d'inverno. 

Iniziamo con lo spiegare immediatamente come funzionano le lampadine ad incandescenza: c'è un filamento di tungsteno che brucia, o almeno ci prova, ma non trovando ossigeno nell'ampolla di vetro nella quale è custodito riesce soltanto a produrre luce, sino a quando non si rompe l'ampolla o il filamento. 

Questo è il semplicissimo meccanismo delle comuni lampadine (a dire il vero nemmeno più tanto comuni, ma ne parleremo dopo) che tutti considerano banale. Però forse non tutti sanno che questo meccanismo permette di convertire l'energia che arriva alla lampadina in questo modo: 5% in luce, 95% circa in calore. Bene le nostre lampadine sono delle piccole stufe che hanno anche il compito di illuminare e non viceversa.

Forse è il caso di cambiare tecnologia, forse. E così un giorno qualcuno si è svegliato e si è accorto di questa necessità inventando le lampadine a risparmio energetico. Da settembre 2012 dovrebbero esser bandite dal commercio (a causa di una legge europea) le lampadine di cui abbiamo parlato perché il mondo va verso un consumo energetico classificato e c'è la possibilità di sfruttare meglio l'energia che arriva nella lampadina trasformandone in luce non solo il 5%. Come? Ci sono le lampadine fluorescenti compatte. Come sono fatte queste nuove lampadine che stanno lentamente, ma non poi troppo, invadendo il mercato?

Sono lampade a scarica elettrica con dei gas/polveri all'interno. La scarica non può avvenire direttamente a contatto con il gas/polvere perché altrimenti brucerebbe di colpo. Il funzionamento lo trovate anche su wikipedia, è abbastanza semplice, ma non è questo che ci interessa. Ciò che ci interessa è capire la direzione che questa “nuova” tecnologia sta prendendo.

Prima si producevano lampadine ad altissimo consumo di elettricità, ma non nocive all'uomo. Ora, invece, si producono lampadine con dei gas/polveri all'interno, quali?
Nella lampadina ci sono polveri trifosforo (Denominazione generica di fosfori a tre bande spettrali, nella zona del blu, del verde e del rosso, che, per eccitazione con radiazioni ultraviolette, danno una luce che si avvicina a quella bianca;), mercurio e ossigeno.

Non sono un chimico e forse non ho nemmeno le competenze adatte per trarre delle conclusioni. C'è anche la possibilità che qualcuna di queste premesse sia sbagliata, però c'è qualcosa che non quadra nella composizione di queste lampadine.

I termometri a mercurio sono stati vietati dalla comunità europea, perché il mercurio è nocivo e non può essere commercializzato. Il fosforo è nocivo quanto il mercurio, la dose letale media è di 50 milligrammi (fonte wikipedia).
In più la riprova del fatto che sia presente mercurio è data dal fatto che una lampadina non può essere gettata tra i rifiuti normali, ma deve essere smaltita attraverso un procedimento particolare e per questo restituita al venditore.

Dunque abbiamo abbandonato delle lampadine non inquinanti, o comunque in maniera minore, per introdurre delle lampadine che non possiamo smaltire ma che consumano un po' meno? Quanto non sono riuscito nemmeno a capirlo, dati abbastanza certi non ci sono (se qualcuno ha questi dati e vuole fornirmeli sarò felice di pubblicarli).

Le nuove lampadine sono in commercio, quelle vecchie non più, e non saranno smaltite in pochi anni dopo la loro rottura perché contengono materiali che non siamo capaci di riciclare e in più se si rompono liberano fosforo e mercurio.
Non so che altra geniale invenzione ci si prospetta in questo campo, ma se si rompe una lampadina in casa io apro la finestra e lascio la stanza e francamente vi consiglio di fare la stessa cosa. altre soluzioni non le abbiamo per difenderci da queste armi che ci stanno vendendo per illuminare le nostre stanze.


Luca Romano

lunedì 17 ottobre 2011

La lotta silenziosa delle fave


Fave secche biologiche

Questo blog è nato con l'intento d'esser un blog contro certe forme di globalizzazione. Contro sistemi culturali che vengono imposti coattivamente e che vengono accettati senza esser voluti. Ecco quindi che ho parlato dell'ikea, come stile anonimo imposto alle masse, e l'acqua in bottiglia, un mercato che è stato costruito per vendere bottiglie di plastica e non per vendere acqua.
Oggi voglio parlarvi di un'altra cosa, da un altro punto di vista.

Siamo arrivati al 17 ottobre, e tutti i luoghi comuni ci portano verso le frasi come “l'estate è finita”, “fa freddo non ci sono più le mezze stagioni” ecc ecc.
La mia idea di autunno e di ottobre, invece, coincide con l'arrivo dei legumi. Dell'odore diffuso per la casa dovuto alla loro lunga cottura, e dal calore, non solo a livello di temperatura, che ti infondono.
Oggi voglio parlarvi della Vicia Faba, comunemente detta fava. Da noi in Puglia è un piatto tipico, lo è però anche in altre parti del mondo con altre forme di cottura e altri condimenti. Però la fava ha qualcosa in più: non è un piatto che può esser consumato come un panino, come delle patatine, non è da fastfood.
La fava, qui da noi, ma anche altrove, è un piatto slow. È lento perché, fortunatamente, ha un sapore particolare e non è apprezzato da tutti, ed è proprio la particolarità che rende le cose uniche. Ed è nel particolare che risiede l'esser no-global di qualcosa. La fava non è un sapore adatto a tutti e quindi non è buono per tutti. Chi sceglie di mangiare le fave, lo sceglie e si siede a tavola, le gusta.

In Puglia, una volta, si prendeva anche la fava secca contro i dolori di pancia o di stomaco. Se ne prendeva una e la si metteva sotto la lingua, lasciandola sciogliere per un bel po' di tempo. Era un rimedio naturale, consigliato dai nonni, di quelle cose che non si fanno più. E la cosa magnifica è che se chiedi a chi te ne parla, non ha la minima idea del perché passi il mal di pancia, è così e basta. È questa la tradizione, una fiducia dogmatica in ciò che il passato ti insegna. Noi non ce ne facciamo più niente delle tradizioni, abbiamo il maalox. Però la fava, come tante altre cose ovviamente, ha segnato questa terra e l'ha resa particolare. Mangiare le fave, con le cicorie magari, seduti a tavola con un pezzo di pane e del vino (per chi lo apprezza) è qualcosa che lotta contro tutte le multinazionali del cibo e non solo. Lotta contro la velocità e contro le culture dominanti. Non è detto che sia un bene difendere le culture locali, però qui da noi la fava è questo, anche. Anche se non ci pensa nessuno. È una lotta silenziosa. Così come in silenzio, ascoltando solo i rumori del cucchiaio o della forchetta nel piatto, vanno mangiate. Buon appetito.

mercoledì 12 ottobre 2011

Perché consumiamo l'acqua in bottiglia?


Ognuno di noi prende una bottiglia in mano, svita il tappo in plastica e versa il contenuto in un bicchiere, a volte di vetro, a volte di plastica. Ognuno di noi, spesso, nemmeno guarda scorrere quella sostanza trasparente dalla bottiglia al bicchiere. L'acqua è necessaria a tutti gli esseri viventi e per noi uomini occidentali è ormai ovvio ci sia, magari in una bottiglia di plastica, magari sul nostro tavolo.
Cosa in realtà ci nasconde quella bottiglia così comoda? Calcoliamo per approssimazione. A me immediatamente viene in mente la sua creazione.
Le bottiglie comuni sono fatte in Polietilene tereftalato, comunemente detto PET. È una resina termoplastica utilizzata comunemente non solo per le bottiglie ma anche per altre plastiche ad uso alimentare e non. Consideriamo che per produrre circa 25 bottiglie da 1,5 litri l'una serve un chilo di questa plastica ricavata da 2 kg di petrolio e 17.5 litri d'acqua. Per la fabbricazione di queste 25 bottiglie vengono emesse molte sostanze non propriamente eco-sostenibili tra le quali 2,5 kg di anidride carbonica.
I dati sono più o meno questi, in ogni caso possiamo anche prenderli approssimativamente, considerandoli in eccesso.
Ma se ogni bottiglia è causa di tutto questo trambusto, solo per la produzione, il suo trasporto quanto inquinerà?
Consideriamo il trasporto dell'acqua praticamente solo su autocarri, quindi su gomma, e facendo una comunissima ricerca sul web ci accorgiamo che un autocarro consuma circa 25 litri/100 km per trasportare più o meno 15 tonnellate di bottiglie d'acqua. La produzione media di CO2 è di 25 grammi per tonnellata/km.
Per evitare di perderci in calcoli consideriamo che gran parte dell'acqua che viene commercializzata in Italia proviene dal nord e per esser venduta, qui a Bari, per esempio, percorre circa 1000km (anche questo dato è approssimativo in difetto) consideriamo quindi necessari 250 litri di gasolio per trasportare 15 tonnellate di bottiglie.

Ritornando alla nostra bottiglia, sul nostro tavolo, così comoda e pratica, adesso possiamo guardarla con sospetto. Ogni singola bottiglia da 1,5 litri costa, circa 30 forse 40 o 50 centesimi, e possiamo considerare che ognuno di questi centesimi spesi come causa di emissioni di CO2 (senza considerare il viaggio di ritorno dell'autocarro vuoto, gli imballaggi del cestelli d'acqua, il tragitto compiuto per portare le bottiglie vuote dalla fabbrica all'imbottigliamento, e altri piccoli dettagli che tutti insieme incidono sicuramente) di consumo di gasolio e di spese di smaltimento della bottiglia.

Sembra quasi che non ci stiano vendendo l'acqua, ma la bottiglia. Sembra quasi che quei 50 centesimi arrotondati per eccesso siano il prezzo che dobbiamo pagare per produrre un rifiuto.
E sembra veramente incredibile che aprendo il rubinetto e mettendoci il bicchiere sotto, o una caraffa, tutto questo inquinamento viene automaticamente ridotto a 0. niente più trasporto, niente più imbottigliamento, niente più lavorazione della plastica, niente inquinamento. Sembra veramente incredibile quanto sia semplice.  



*I dati riportati sono presi da internet (dati sui trasporti), da alcune riviste del WWF (dati sulla produzione e sul trasporto) e da altri siti dedicati all'argomento.

venerdì 7 ottobre 2011

Pasolini non ama l'ikea

Tutti in casa hanno un mobile ikea. Chi non ha una lampada o un tavolino. Molti ci vanno anche solo per passare il tempo, alcuni magari non ci sono mai andati. Tutti quelli che ci vanno però dicono che le cose costano poco e se le possono permettere tutti. Ti offrono un bel tavolo, una bella sedia, un bell'armadio a pochi euro. Ed è tutto vero. Della durata nessuno ne parla, perché tanto per quello che hai speso, alla fine se si rompe ne puoi comprare un altro, magari diverso e più bello. Bene io non contesto questo, questo non mi interessa. Forse va bene o forse no, non lo so.
Però un giorno ho aperto le lettere luterane di Pasolini e ho letto a pagina 46 delle parole che dicevano così:

I primi ricordi della vita sono ricordi visivi. La vita, nel ricordo, diventa un film muto. Tutti noi abbiano nella mente un'immagine, che è la prima, o tra le prime, della nostra vita. Quell'immagine è un segno e, per l'esattezza, un segno linguistico. Dunque, se è un segno linguistico, comunica o esprime qualcosa. Ti faccio un esempio, Gennariello, che a te napoletano suonerà esotico. La prima immagine della mia vita è una tenda bianca, trasparente, che pende, credo immobile, da una finestra che dà su un vicolo piuttosto triste e scuro. […] In quella tenda si riassume e prende corpo tutto lo spirito della casa in cui sono nato. Era una casa Borghese a Bologna. […] quegli oggetti (la tenda) sono, appunto, dei segni linguistici […] La loro comunicazione era dunque essenzialmente pedagogica. Essi mi insegnavano dove ero nato, in che mondo vivevo e, sopratutto, come dovevo concepire la mia nascita e la mia vita.*

Quello che vuole comunicare Pasolini consiste essenzialmente nella natura pedagogica degli oggetti con i quali conviviamo. Non solo solo corredo, non sono solo mezzi. Gli oggetti, i mobili, la tenda, sono il nostro primo insegnamento. Un insegnamento precedente rispetto a quello verbale. Un insegnamento al quale non possiamo esprimere assolutamente alcuna opposizione, perché siamo ancora troppo piccoli.
Molti di noi sono cresciuti in case povere, alcuni in case borghesi, come quella di Pasolini magari, oggi i figli appena nati, o che nasceranno, cresceranno in case con molti mobili ikea. Bene, e che male c'è? Nessuno forse.
Forse i mobili ikea essendo buoni per tutte le persone di tutto il mondo sono anonimi. Hanno nell'anonimato la loro peculiare caratteristica. Saranno il primo impatto per coloro che nasceranno, saranno la tenda che ha insegnato a Pasolini i valori borghesi, però non insegneranno i valori borghesi, criticabili o meno, insegneranno l'anonimato, l'esser adattabili, poco durevoli e buoni per tutti. Distruggeranno le differenze e non permetteranno alle persone di strutturarsi in un contesto unico.
Ecco perché forse non sempre un tavolino è necessario che sia bello e a basso prezzo. Ecco perché forse a Pasolini non sarebbe piaciuta l'ikea.


* P.P.Pasolini, lettere luterane, garzanti 2010, pp 46-49

benvenuti

benvenuti su chilometro Zero. Questo è il primo post, e quindi lo utilizzo solo per salutarvi e spiegarvi un po' cos'è chilometro Zero.
Il progetto iniziale mi porterà a parlare della terra sulla quale viviamo. Delle insensatezze della globalizzazione. Del nostro modo di vivere. E di tutti i mondi possibili. Tutto qui? No, parlerò anche delle verdure di stagione, di bottiglie d'acqua, di silenzi e di pesci. Parlerò di tutto ciò che può esser a portata di mano.
Forse non ho utilizzato le parole migliori per farvi capire cos'è chilometro Zero, però magari ogni singolo post riuscirà a farvi avvicinare a quello che ho in testa.